Qualche
tempo fa, passeggiando per Bologna nella centralissima via
Indipendenza, la mia attenzione è stata attratta da un imponente
monumento, opera di Arnaldo Zocchi (1907), dedicata a Giuseppe
Garibaldi, senza dubbio una delle figure più importanti del
Risorgimento Italiano e non solo, dato che ben noto è il suo apporto
dato alle lotte di liberazione dell’America meridionale che lo
hanno consegnato alla storia come “l’eroe dei due mondi”
Essendo
bolognese di nascita, non era certamente la prima volta che mi
imbattevo in quel monumento, ma lo avevo guardato solo di sfuggita e
soprattutto non mi ero mai domandata come l’opera, al di là del
suo valore artistico sul quale non ho la competenza di pronunciarmi,
rifletta l’idea del suo autore circa il carattere e la personalità
dell’illustre soggetto ritrattato, il cui aspetto fisico era ben
noto grazie ad un vasto repertorio iconografico, formato da dipinti,
incisioni e fotografie. Sull’onda di queste riflessioni, è sorta
in me la curiosità di verificare come altri scultori abbiano pensato
di immortalare l’eroe, incarnazione del patriottismo e della
libertà dei popoli. La mia ricerca si è concentrata sui monumenti a
Garibaldi presenti in Italia, sebbene la sua memoria si estenda anche
al di fuori del nostro Paese, visto che è stato omaggiato con
monumenti, busti e steli, in più città dell’Argentina, in
Brasile, a New York, in Bulgaria e nella Russia meridionale, nella
città di Taganrog, ove egli si spinse con la sua goletta nel 1833,
e, grazie ad alcuni italiani lì residenti, maturò l’idea di
aderire alla lotta per l’indipendenza italiana. Il risultato della
mia indagine è stato superiore ad ogni aspettativa, giacché ho
appreso che ben quaranta sono le città italiane che, da nord a sud,
hanno voluto ricordare l’eroe con un monumento. Dal 1882, anno in
cui Garibaldi si spense a Caprera, si scatenò una vera propria gara
fra le città italiane, molte delle quali vantavano un suo passaggio,
nel dedicargli un monumento: più di una ha rivendicato il primato di
avergli reso testimonianza, merito che sembrerebbe spettare a
Cesenatico, ove Garibaldi e le sue truppe trovarono rifugio nella
loro fuga dagli austriaci il 2 agosto 1849. Nella cittadina adriatica
è infatti presente, dal 1884, un monumento all’eroe, opera di
Tullo Golfarelli. Ciò è stato contestato da Monza, ove fu collocato
un monumento a Garibaldi quattro anni dopo la sua morte. L’opera,
di Francesco Bazzano, essendo in marmo, si deteriorò e fu sostituita
(1915) da un‘altra dello stesso scultore. Nel 2013, tuttavia, il
primo monumento, opportunamente restaurato, ha trovato una sua
collocazione per cui ora Monza può perlomeno vantarsi di essere
l’unica città italiana a possedere due monumenti dedicati
all’eroe! La questione, che può sembrare di poco conto,
continua ad infiammare gli animi malgrado il passare degli anni: nel
2016, Iseo e Luino hanno rivendicato ciascheduna la priorità
nell’erigere un monumento all’eroe, risultando vincitrice la
seconda. I monumenti dedicati a Garibaldi nel nostro Paese si
susseguirono ininterrottamente lungo tutto il corso del XIX secolo,
sull’onda dell’entusiasmo per l’ottenuta unità italiana, tanto
da esserne stati eretti ben sei nello stesso
anno, il 1889, che si possono ammirare a Lucca, Piacenza, Livorno,
Carrara, Brescia, Prato. L’interesse per la ormai mitica figura
dell’eroe, diminuì sensibilmente nel corso del secolo successivo:
l’ultimo dei monumenti a lui dedicati, risalente al 1956, si trova
a Reggio Calabria, opera di Alessandro Monteleone, in sostituzione di
un monumento danneggiato durante la seconda Guerra Mondiale.
Grazie
al web, ho potuto esaminare uno ad uno i monumenti di Garibaldi
sparsi per l’Italia, qualcuno in marmo, ma prevalentemente in
bronzo, materiale senza dubbio più adatto a salvaguardarli, dato che
si trovano all’aperto. In tutte le sculture, l’eroe è
rappresentato come un uomo vigoroso, seppur non più tanto giovane,
immortalato in due modi: stante o a cavallo. Per quello che riguarda
il primo tipo di monumento, Garibaldi, è riconoscibile per la
fluente barba, il berretto che soleva portare e il fazzoletto
annodato al collo, un mantello, qualche volta sostituito dal poncho,
come, ad esempio, nel monumento a Lecco (1884), opera di Francesco
Gonfalonieri, chiaro rimando alle imprese dell’eroe nell’America
del sud. La dimensione eroica del condottiero è sottolineata in
quasi tutti i monumenti dalla presenza di una spada, sguainata o
trattenuta con una mano, mentre per imprimere maggior dinamismo alla
figura, l’eroe sembra avanzare col piede destro, o, in alternativa
sinistro. Ciò che più colpisce del personaggio è lo sguardo, che
quasi tutti gli scultori hanno voluto diretto verso un orizzonte
identificabile con Roma, la città che Garibaldi, con suo grande
dolore, non era riuscito a conquistare. Tra questi monumenti emergono
i due eseguiti da Augusto Rivalta, visibili a Livorno (1889) e a
Chiavari (1890), opere che attestano, la prima, l’intento di
rendere la fierezza dello sguardo dell’eroe, avvolto in un ampio
mantello, in piedi su uno sperone di roccia, mentre la seconda lo
coglie in atteggiamento riflessivo, sottolineato anche dalla mano
destra che egli tiene sul petto
Monumento di Garibaldi
a Padova
Passando
ai monumenti equestri, senza dubbio in minor numero a causa della
complessità del lavoro richiesto ai loro autori, e, forse, al
maggior costo, è qui che, in unione con la potenza dell’animale, a
mio avviso Garibaldi assume pienamente quella dimensione eroica e
rivoluzionaria che ha ancor oggi nell’immaginario collettivo, di
minor impatto nei monumenti che lo raffigurano eretto. Come accade
per monumenti equestri fin dall’antichità, raffigurare il generale
a cavallo, quindi in posizione dominante, ne enfatizza la grandezza e
l’autorità. Osservando il destriero cavalcato da Garibaldi, il mio
pensiero corre a Marsala, la cavalla bianca che lo accompagnò
durante la conquista del Meridione e che, quando si ritirò da ogni
agone, egli volle portare con sé a Caprera, destinandole, alla sua
morte, un vero e proprio sacello. L’abbinamento del cavallo
all’uomo che deve guidarlo, trattenerlo o incitare la sua naturale
esuberanza, conferisce ai monumenti che ho esaminato un dinamismo che
mette in risalto il coraggio e il senso di grande libertà propri del
cavaliere. Ciò emerge, ad esempio, nel monumento equestre, opera di
Pietro Bordini e sito a Verona (1887), ove Garibaldi, di cui si legge
la tensione nello sguardo, regge con la mano sinistra le briglie del
cavallo, sul punto d’impennarsi o indietreggiare, mentre con la
destra tiene il cappello, tolto per non perderlo nella corsa; o,
ancora, nel monumento presente a La Spezia (1939)
ove Antonio Garella
ha dato vita a un cavallo rampante, che quasi pare di sentir nitrire,
assecondando l’eroe che, con la spada puntata verso l’alto, si
appresta ad attaccare. Particolarmente suggestivi sono anche il
monumento eseguito da Raffaello Romanelli e destinato a Siena (1891),
ove Garibaldi si volge a guardare dietro di sé, la mano destra
appoggiata sul dorso dell’animale del quale ha arrestato la corsa,
come sembrano dimostrare le zampe puntate al suolo per lo sforzo e la
testa abbassata. Non mancano tuttavia monumenti equestri nei quali lo
scultore accentra il suo interesse sulla figura e l’atteggiamento
del cavaliere, trascurando il destriero, riprodotto in una posa
statica e classicheggiante, come si vede nel monumento eseguito da
Antonio Maccagnani a Brescia (1889), ove Garibaldi, le cui mani
reggono le redini, mostra un atteggiamento fiero e composto, o quello
di Emilio Gallori, che dal 1895 si erge a Roma sul Gianicolo, in
occasione dei venticinque anni dalla presa della città, ove
l’attenzione è attratta dallo sguardo particolarmente intenso ed
interlocutorio del generale.
Appare
evidente e quasi scontato, che nell’una e nell’altra modalità
scelte per rappresentare la figura di Garibaldi prevale una visione
trionfalistica volta a perpetuarne il mito. Ebbene, a conclusione
della mia ricerca, mi sono chiesta se esistessero in Italia monumenti
che celebrano l’eroe in una dimensione più intimista e umana, che
è stata rappresentata in diversi quadri ottocenteschi, ad esempio
quelli che lo ritraggono affranto accanto al letto di morte di Anita,
la sua altrettanto mitica compagna, il cui carattere indomito è
stato enfatizzato a Roma, nel 1932, in un monumento di Mario Rutelli
che la rappresenta in veste di amazzone, con in braccio il
figlioletto Menotti e nell’atto di sparare al nemico.
Monumento di Garibaldi
(Brescia)
Monumento ad Anita
Garibaldi (Roma)
Monumento a Garibaldi
(Genova)
Il
mio interrogativo ha trovato una risposta affermativa: a Porto
Garibaldi c’è, dal 2011, un piccolo monumento in rame, opera di
Nicola Zamboni e Sara Bolzani, che ritrae Garibaldi e Anita su una
barca, in fuga dagli austriaci, nelle valli di Comacchio (1849). Qui,
smessi i panni in cui siamo soliti ricordarlo, l’eroe, appare come
un uomo stanco e provato, che, sorreggendo la moglie, ormai allo
stremo, cerca di infonderle coraggio, indicando con la mano
l’orizzonte ove è ancora possibile la salvezza, che invece,
purtroppo, le sarà negata: infatti, come sappiamo, ella morirà nei
pressi di Ravenna. Il monumento intende ricordarci che Garibaldi,
perseguendo i propri ideali, ai quali Anita aderì seguendolo
dall’Uruguay in Italia, non ebbe solo successi, ma incontrò anche
fatiche, delusioni e la sua avventurosa vita, come quella di
qualsiasi essere umano, non fu priva di sofferenza e di lutti. Ma c’è
di più: la presenza di Anita accanto a Giuseppe, non vuole solo
esaltare quello che è stato un grande amore, ma anche indurci a
considerare il ruolo che questa eroica donna ebbe nella vita del suo
compagno e insieme farci riflettere sull’apporto dato da tante
altre donne al Risorgimento italiano.
Ps.
Le immagini di molti dei monumenti all’eroe presenti in Italia,
rimando al sito: it.m.wikipedia.org/viki/categoria sculture e
monumenti dedicati a Giuseppe Garibaldi
Patrizia
Garelli Rossi