Un ‘artistico’
scherzetto
Patrizia Garelli
Rossi
Questa volta voglio raccontarvi un
aneddoto assai curioso che mi piace definire come “scherzetto artistico”, anche
se oggi, quasi certamente, sarebbe qualificato in modo assai meno bonario! Al
tempo, tuttavia, per quanto ne so, non mi risulta aver avuto gravi conseguenze,
se non, probabilmente, qualche mugugno della parte offesa…
Attorno agli anni 70, a Bologna, conobbi
Gino Marzocchi, valente pittore e, in particolare, eccellente ritrattista,
presentatomi dal mio ragazzo che, di lì a poco, sarebbe diventato mio marito:
fu l’inizio di una bellissima e solida amicizia, destinata a durare fino alla
morte dell’artista, avvenuta nel 1981. Ben presto cominciai a posare per lui
come modella e fu proprio un giorno in cui mi trovavo nel suo studio, in Strada
Maggiore, che Gino prese a raccontarmi, accompagnando il racconto con divertente
mimica, il fatto che mi accingo a narrarvi e che vede implicati due grandi
artisti bolognesi: Cleto Tomba (Castel San Pietro Terme, 1898- Bologna, 1987) e
Nino Bertocchi (Bologna, 1900-Monzuno, 1956). Prima di farlo, però, mi sembra
necessario presentarvi, seppur in modo sommario - amo l’arte ma non sono
un’esperta! - questi due personaggi, le cui opere hanno goduto di grande
fortuna al loro tempo, ottenendo apprezzamenti anche fuori dell’ambito
nazionale. Purtroppo, come accaduto per quasi tutti gli artisti emiliano-romagnoli
coevi, l’attenzione della critica nei loro confronti è ingiustamente scemata e
meno male che il Museo dell’Ottocento e Novecento bolognese, di recente
apertura in città (piazza San Michele, 4/c), sotto la direzione della dott.
Francesca Sinigaglia, si sta dando egregiamente da fare per riabilitarli con
mostre, conferenze e laboratori didattici: vi consiglio caldamente di
visitarlo, sarà una bellissima esperienza!
Chi scrive, ha avuto la fortuna di
conoscere personalmente Cleto Tomba: avvenne nel corso alcune riunioni
conviviali tenutesi, negli anni '70 presso il “Circo delle Arti”, sodalizio di
cui facevano parte alcuni dei più importanti esponenti del mondo della cultura
e dell’arte bolognese del momento come Alessandro Cervellati, Alberto Menarini,
Ferruccio Giacomelli, Gino Marzocchi, Athos Vianelli, Ugo Guidi ed altri
ancora, riconoscibili in due litografie a colori nelle quali Gino Marzocchi ha
voluto immortalare i soci. Questo Circolo, il cui nome riecheggiava
umoristicamente quello del più famoso “Circolo delle Arti”, sito a Bologna sino
al 1944 presso l’ormai scomparso “Caffè San Pietro”, era nato nel 1962, da
un’idea del Cervellati, pittore, illustratore, giornalista, esperto del mondo
dei burattini, di cui possedeva una notevole collezione e autore di un libro
ancor oggi imprescindibile per chi voglia conoscere la storia del circo.
Cleto Tomba, iniziatosi alla scultura in
tenera età, artista pluripremiato e noto anche al di fuori dei confini
nazionali, ci ha lasciato moltissime opere, tra le quali, in particolare a
partire dagli anni ’30, spiccano statuine di piccolo formato in terracotta
dipinta, che colgono aspetti della vita quotidiana con realismo e, non di rado,
pungente ironia. Lo ricordo come un uomo di non alta statura, dal viso magro,
di scarse parole, ma di azzeccate e
lapidarie sentenze che subito me lo resero simpatico.
Per ragioni anagrafiche non ho invece
conosciuto Nino Bertocchi, pittore e apprezzato critico d’arte, noto
soprattutto come autore di bellissimi paesaggi: ne posseggo uno che mostra
chiaramente l’influsso suscitato in lui dai Macchiaioli e dal suo maestro,
Luigi Bertelli.
Non ho modo di sapere quali fossero i rapporti tra lui e Tomba, colleghi, se non amici, nel fervido ambiente artistico bolognese dell’epoca, tuttavia ho la certezza che la loro relazione,
in un preciso momento, si sia drasticamente incrinata. Se ne ignoro la causa,
ne ho però la prova: sta in una piccola scultura policroma in creta che, sul
retro del piedistallo di legno su cui è collocata, reca la firma autografa di
Cleto Tomba, preceduta dalla scritta, anch’essa autografa, ‘Bertocchi’.
L’unica fotografia di questo artista che
sono riuscita a reperire in Internet ce lo mostra da giovane, come uomo di
corporatura snella, colto in un atteggiamento quasi schivo e imbarazzato,
sottolineato dalla mano sinistra affondata nella tasca della giacca. Nella
versione di Tomba, invece, è un personaggio senza arti, avviluppato in un
mantello scuro che rende irriconoscibile la sua corporatura. Su questo ammasso
informe, domina la testa, incassata fra le spalle e di eccessive proporzioni
rispetto al resto. Ciò che più colpisce è però l’espressione che Tomba
conferisce a Bertocchi: gli occhi sono praticamente inesistenti perché ridotti
a due fessure e la bocca a ‘u’ capovolta, esprime insofferenza e disprezzo: lo
scultore vuol forse rivolgere una critica all’asocialità e mancanza di empatia
che attribuisce al collega? Comunque sia, riesce perfettamente a dimostrare la
propria avversione nei suoi confronti. Tuttavia, è ciò che Tomba fece dopo aver
eseguito l’opera che risulta ancor più curioso e assai poco comune, anche se è
noto che lo scultore non era nuovo a scherzetti estemporanei che lasciavano di
stucco il suo interlocutore. Una volta, infatti, per rispondere a un tizio che
gli aveva chiesto come facesse a scolpire così rapidamente, presa una pallina
d’argilla, ne ricavò una scultura che subito dopo distrusse, invitando il
curioso ad imitarlo dato che aveva visto come si faceva… L’artista, ultimata la scultura di Bertocchi,
non soddisfatto di essersi vendicato in privato, si adoperò affinché l’opera
fosse resa nota. Così, per un certo periodo, quando si trovava in un ambiente
pubblico in cui, magari, veniva menzionato il collega, cavata dal taschino
della giacca la statuetta, pronunciava le seguenti parole: “Io, Bertocchi me lo
metto nel taschino!”; poi, imperturbabile, la rimetteva al suo posto. Anni fa
mi sembra di aver trovato un cenno a questo episodio in un libro sulla pittura
dell’Otto-Novecento bolognese, di cui non mi sovviene il nome e forse qualche
critico dell’arte se ne ricorderà…Tuttavia sono convinta che nessuno di loro
abbia potuto apprezzare dal vero la singolare statuetta di Tomba: Marzocchi,
infatti, alla fine del suo gustoso racconto, volle farmene dono. Io la conservo
tutt’ora gelosamente…